AFRICA: QUANDO AIUTARE DIVENTA UN LAVORO


Ho da qualche giorno iniziato a studiare l'Africa, un continente affascinante e pieno di contraddizioni. Mi sono posta diverse domande durante lo studio ed ho avuto la possibilità di sottoporle a Teresa Granata, operatrice di Medici senza frontiere[1]

1) Lei è laureata in Fisica ma lavora per MsF. Perché ha cambiato ramo? E com’è avvenuto questo cambiamento?
G. Alla fine del mio percorso di studi in Astrofisica sentivo che la mia motivazione a investire le mie energie in questo campo scemava e che il mondo della ricerca non avrebbe fatto per me. Durante gli anni universitari mi ero impegnata con diverse associazioni in attività di volontariato e decisi che avrei voluto lavorare nel campo dell’umanitario. Riconoscevo di essere una persona privilegiata e sentivo il desiderio di “ricambiare” in qualche modo. Decisi allora di professionalizzarmi nel campo dello sfruttamento dell’acqua nei Paesi in via di sviluppo seguendo un master in questo campo che mi aprì le porte alla professione del tecnico in Acqua e Igiene.
2) Che lavoro ha svolto per MsF e in quali zone dell’Africa ha lavorato?
G. Cominciai a lavorare con MSF nel 2011 come Responsabile Acqua e Igiene in un ospedale di campagna in Sierra Leone. Sono anche stata in Guinea, nella Repubblica Democratica del Congo e in Uganda. Lo scopo principale del lavoro era quello di assicurare l’approvvigionamento di acqua in quantità sufficiente e in qualità accettabile per realizzare le attività mediche dell’organizzazione.
3) Che situazione ha trovato in quel momento? Sappiamo che in totale in Africa ci sono 15 guerre…
G. Non sempre le popolazioni obiettivo di un intervento delle Ong sono vittime di conflitti armati ma è anche vero che l’assenza di un servizio medico adeguato è spesso dovuta a conflitti interni e instabilità socio-politiche di varia natura. In ogni caso l’obiettivo generale delle missioni a cui ho partecipato era sempre lo stesso: ridurre la mortalità e la morbilità[2].
Riguardo ai conflitti armati, sono stata piuttosto testimone delle loro conseguenze. Ero nella Repubblica Democratica del Congo nel 2013, anno della nascita del Movimento 23 Marzo (M23, l'esercito rivoluzionario congolese) e, durante una missione d’urgenza per un’epidemia di Malaria, mi ritrovai nel bel mezzo di uno scontro armato tra il gruppo di ribelli Mai Mai Raia Mutomboki e l’FDLR (esercito congolese). Pur coscienti di non essere il bersaglio dell’attacco, non ci restò che cessare tutte le attività e stare un’intera giornata sdraiati a terra nella nostra abitazione aspettando che il fronte armato si spostasse dal nostro villaggio. Alla fine della giornata la casa era diventata uno scolapasta!
4) Come l’hanno accolta e com'è stato il rapporto con gli autoctoni?
G. In tutte le mie missioni, ho potuto instaurare un rapporto diretto con i beneficiari. Le persone nel bisogno non amano i mezzi termini. Ma al di là del servizio professionale reso, la maggior parte desidera creare una relazione umana con le persone che lavorano in organizzazioni umanitarie. Prendere il tempo di ascoltare le richieste o le storie delle persone per cui lavoriamo non è scontato in un contesto di urgenza ma un atteggiamento di rispetto e disponibilità. Ho avuto occasione di visitare le case di alcuni collaboratori o essere invitata a feste di compleanno. Pur nella povertà più profonda, le occasioni di incontro sociale sono di grande importanza e l’ospite è trattato sempre con grande rispetto ed entusiasmo. Diventavo infatti a mia volta motivo di festa per l’intero villaggio.
5) Pensando all'Africa mi vengono in mente queste parole: povertà, natura, assenza di progresso, guerra, mancanza di scuole. È veramente così?
G. Queste realtà esistono certamente, ma l’Africa è un continente enorme in cui molte culture si sono sviluppate indipendentemente. Da una parte sarebbe comodo generalizzare, ma la verità è che ci sono tante culture quante persone. La povertà, l’assenza di progresso in alcune zone, la mancanza di scuole sono conseguenza di decine e decine di anni di sfruttamento da parte di altri paesi più forti, conflitti interni, cattiva gestione delle risorse e corruzione. Problemi a cui molti altri popoli sono stati soggetti. Tuttavia, cambiare certe mentalità implica processi storici lunghi e dolorosi che creino delle identità nazionali o di popoli più forti del potente di turno. La volontà di cambiare, di migliorare e di uscire dal circolo vizioso della povertà è lì! Molte aree geografiche sono sfavorevoli al progresso: la presenza di una risorsa idrica di facile accesso fa la differenza in molte zone. Dover fare 12 ore di fila ad un punto d’acqua per procurarsi il minimo necessario ai bisogni della famiglia (spesso con molti bambini) implica la non possibilità di dedicarsi ad altre attività. Molte delle popolazioni per cui ho lavorato vivono alla giornata. La mancanza di servizi “pubblici” (che sono ormai parte del nostro diritto quotidiano) genera un rallentamento allo sviluppo. E così vale anche per il servizio sanitario. Noi spesso non riflettiamo della potenza di quello che abbiamo: un servizio sanitario in difficoltà, ma esistente! Vedere bambini che muoiono di un semplice morbillo o di malnutrizione non è più pensabile nel nostro paese. Ma lì succede ancora.
6) Che infanzia è quella di un bambino che vive in queste zone?
G. Di nuovo, ci sono tante “zone” in Africa che non offrono le stesse possibilità. Ad esempio una famiglia isolata, con un tetto sulla testa, pur nella povertà riesce a dare i mezzi al bambino più grande (se non a tutti), di raggiungere una scuola. Attraversando la foresta, le paludi, fiumi con alligatori, molto bambini riescono a raggiungere semplici capanne attrezzate a scuola nella speranza di poter cambiare il destino a cui sembrano dover sottostare.
Il bambino è un bambino in qualsiasi circostanza egli viva: un essere umano che vuole giocare, crescere, imparare, essere amato. Il fatto è che le responsabilità arrivano subito: accudire la sorellina o il fratellino più piccolo, cercare l’acqua, cercare la legna per il fuoco. Di nuovo nelle condizioni più precarie, vivere “alla giornata” è la sola possibilità.
7) Cosa si aspettava prima di partire per l’Africa? Ha trovato una condizione peggiore rispetto a quello che si era immaginata?
G. La mia immaginazione non corrispondeva alla realtà. Partivo all'avventura nella speranza di fare un lavoro utile. Mi aspettavo tanta miseria e tanto lavoro. La verità è che ho trovato molto di più di quello che mi aspettavo. Una umanità sconosciuta, di cui non si parla ai telegiornali o nei libri di scuola. E' anche vero che non bisogna andare così lontano per trovare una persona nel bisogno, ma certe condizioni di miseria non sono immaginabili perché non esistono più nella nostra società.
8) Lei era in Africa quando c’era l’epidemia di ebola. Sarà stata sicuramente un’esperienza negativa, la può raccontare?
G. Non la considero un'esperienza negativa in quanto ho contribuito alla lotta contro un virus per il quale ancora non esiste cura. Il tasso di mortalità di questa malattia varia dal 30% all’80%: bisogna prepararsi ad affrontare la morte quotidianamente. Ho assistito diversi colleghi contaminati dal virus: alcuni ce l’hanno fatta, alcuni no. Dunque, l’esperienza è stata emotivamente forte. Questa malattia ha distrutto intere famiglie e fatto collassare dei sistemi sanitari già molto fragili. La conoscenza limitata sulla malattia stessa e le credenze popolari delle zone più remote dalle quali il virus ha cominciato a propagarsi hanno rallentato spesso gli interventi dall'esterno che sono stati spesso visti come ingerenze straniere, come strategia per sterminare interi popoli. Lavorare in questo clima di diffidenza è molto difficile.
9) Quanto l’hanno cambiata questi viaggi in Africa? Si è ritrovata spaesata una volta tornata a casa?
G. Come mi sono adattata a lavorare in paesi così lontani e diversi tra di loro, mi sono riadattata tornando a casa. Sicuramente questi anni di lavoro mi hanno cambiata: non nella mia motivazione nel lavoro che resta sempre accesa, ma nel mio modo di vedere il mondo in cui vivevo già. Fare questo lavoro ha rafforzato la coscienza dell’essere una persona privilegiata. Tornando a casa mi sono anche ricordata che non bisogna andare tanto lontano per aiutare persone in difficoltà. Investirsi quotidianamente in gesti di solidarietà vicino casa sembra meno esotico, ma è ugualmente importante
10) Le mancano le stelle?
G. No, mi basta alzare lo sguardo la notte per ricordarmi che non mi hanno mai lasciata: in Europa come in Africa.

Giulia Bertolino



[1] MSF è una ONG che ha lo scopo di portare soccorso sanitario ed assistenza medica nelle zone del mondo in cui il diritto alla cura non è garantito. Per ONG (Organizzazione non governativa) si intendono le organizzazioni senza fini di lucro indipendenti dagli Stati e dalle organizzazioni governative internazionali. Sono dunque indipendenti dai governi e dalle loro politiche ed ottengono almeno una parte significativa dei loro introiti da fonti private, per lo più donazioni.
[2] La frequenza percentuale di una malattia in una collettività.


Commenti

Post popolari in questo blog

FLASHMOB PER LE DIVERSE ABILITA'

NATALE IN ROMANIA , GRECIA E CUBA!

pride 2024